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Applicazione del "de minimis" a consorzi e associazioni

Quando si deve valutare la compatibilità di un aiuto o, più i generale, si deve applicare la disciplina comunitaria degli aiuti di Stato, uno degli elementi essenziali da verificare è chi sia il beneficiario dell’aiuto stesso: ciò, preliminarmente, al fine di stabilire se l’intervento pubblico costituisca aiuto di Stato ai sensi dell’art.87, par.1 del trattato, successivamente per quantificare l’aiuto ed imputarlo al reale fruitore di esso.
Il principio fondamentale da tener presente è che beneficiario è colui che trae vantaggio dall’aiuto concesso, a prescindere dal fatto che ne sia anche il percettore formale o che l’agevolazione sia materialmente concessa ad un soggetto diverso. È il caso, ad esempio, dei consorzi, delle associazioni, delle ATI, e di ogni altra aggregazione permanente o temporanea tra imprese.
Quando un aiuto viene concesso ad un tale soggetto occorre innanzi tutto domandarsi se il beneficiario formale sia qualificabile “impresa” o sia un semplice intermediario tra l’amministrazione e le imprese, un collettore di interessi, un aggregatore di strategie di una pluralità di soggetti. La domanda chiave da porsi è se l’interlocutore in questione assuma in proprio il rischio d’impresa o se si limiti a svolgere attività per conto di altri che, attraverso l’aggregazione, realizzano un maggior impatto sul mercato, riducendo nel contempo i costi.
Un caso emblematico è rappresentato dai consorzi export. Quando questi si limitano a promuovere i prodotti delle imprese consorziate, anche realizzando l’operazione di commercializzazione, ma non assumendo in proprio il rischio dell’attività economica, che resta in capo ai consorziati, beneficiari di un aiuto al consorzio sono i consorziati stessi, pro quota.
Se invece (come accade raramente) il consorzio svolge una propria attività economica diversa da quella dei soggetti che ne fanno parte (ad esempio acquistando e rivendendo prodotti di questi, o di altre imprese), assumendo quindi in proprio il rischio d’impresa (i consorziati sono semplici detentori di quote di questo soggetto ed il loro rischio in relazione alle sue attività si limita alla quota di partecipazione), allora beneficiario dell’aiuto è il consorzio.
Nella prima ipotesi si dovrà quantificare l’aiuto imputabile a ciascun beneficiario effettivo (o finale). Ciò si potrà fare o dividendo semplicemente l’aiuto per il numero di associati, o utilizzando un criterio che consenta di attribuire l’aiuto ai diversi beneficiari in proporzione al vantaggio effettivo che è derivato a ciascuno di essi.
Se, ad esempio, viene finanziata una campagna promozionale di un prodotto (agricolo, o turistico), realizzata da un consorzio di produttori, è normalmente corretto che il beneficio sia ripartito in parti uguali tra tutti i soci. Se invece questi hanno beneficiato in misura diversa e quantificabile del sostegno pubblico, si dovrà differenziare l’imputazione dell’aiuto. Si pensi, ad esempio, alla partecipazione ad una manifestazione fieristica. Se il consorzio partecipa come tale, nell’interesse di tutti i soci, si dovrà suddividere l’aiuto tra tutti costoro. Se invece alla manifestazione partecipano – oltre al consorzio – singole imprese, magari con spazi diversi, l’aiuto dovrà essere suddiviso tenendo conto dell’effettivo vantaggio (in termini di risparmio sui costi) goduto da ciascuna. Si potrà così ripartire tra tutti i consorziati il minor costo sostenuto dal consorzio ed attribuire ai singoli partecipanti il vantaggio goduto da ciascuno di essi.
Gli stessi principi valgono per le attività di promozione turistica (i turisti attirati dalla promozione occupano le stanze delle singole strutture ricettive, non quelle del consorzio) e per altre situazioni analoghe.

Ai fini di questi ragionamenti non ha importanza la forma giuridica sotto la quale si presenta l’aggregazione: consorzio, cooperativa (di primo o di secondo livello), associazione, ATI, ecc.
Meritano tuttavia alcune considerazioni le associazioni: da un lato le associazioni di categoria, dall’altro le associazioni di produttori disciplinate dalle regole della PAC.
Nel primo caso ci limitiamo a considerare che nella maggior parte dei casi i contributi concessi alle associazioni non hanno una ricaduta diretta e quantificabile su determinate imprese, trattandosi del sostegno alla generica attività di un’associazione, di cui beneficiano un numero molto elevato di iscritti, in misura tra loro diversa e non distintamente quantificabile. Non essendo l’associazione un’impresa sul mercato e non avendo dunque alcun senso imputare ad essa l’aiuto (non avrebbe dunque senso attribuire un “de minimis” a tali soggetti), se si dovesse suddividere questo tra tutti gli associati, l’aiuto imputabile a ciascuno sarebbe del tutto irrilevante. Diverso è il caso delle società emanazione delle associazioni di categoria, che svolgono attività di servizio a favore degli associati: queste possono essere a tutti gli effetti imprese che operano su un mercato in concorrenza con altri operatori economici; ad esse devono essere imputati pertanto eventuali aiuti.
Quanto alle organizzazioni di produttori (e alle associazioni di organizzazioni), gli aiuti pubblici ad esse destinati sono soggetti alla disciplina comunitaria degli aiuti di Stato al settore agricolo. Essa prevede la possibilità di erogare aiuti all’avviamento ad associazioni di nuova costituzione, di dimensioni analoghe a PMI, per un massimo di 400.000 euro, a copertura di spese di funzionamento sostenute nei primi 5 anni a decorrere dal riconoscimento dell’organizzazione. Questa tipologia di aiuti non può essere concessa ad organizzazioni che siano di fatto dei produttori o svolgano funzioni a livello produttivo. Il finanziamento di investimenti o attività promozionali svolte dalle associazioni è invece possibile alle condizioni normalmente applicate alle imprese.

20 marzo 2013

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