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Il recupero degli aiuti di Stato

Il tema del recupero degli aiuti di Stato incompatibili con le regole del mercato comune è da qualche tempo particolarmente seguito dalla Commissione europea che ne ha fatto uno dei cardini della riforma degli aiuti avviata nel 2005. L’adozione di una disciplina ad hoc del 2007 ha contribuito a divulgare i capisaldi della politica comunitaria relativa all’esecuzione degli obblighi di recupero a seguito di una decisione comunitaria che giudica un aiuto illegale e incompatibile.
Fermo restando il periodo di prescrizione di 10 anni oltre il quale l'aiuto non può più essere recuperato, di norma la Commissione rinuncia al recupero solo se ciò contrasta con un principio generale del diritto comunitario, ad esempio la tutela del legittimo affidamento. Lo Stato può sottrarsi all'obbligo di eseguire l'ordine di recupero unicamente nel caso in cui dimostri l’assoluta impossibilità a procedere derivante da circostanze eccezionali.
All'interno dello Stato membro, la decisione della Commissione è obbligatoria per tutti i suoi organi, compresi quelli giurisdizionali, anche se spetta allo Stato designare le autorità preposte al recupero che quasi sempre sono le stesse che hanno concesso l'aiuto. Qualora lo Stato membro non si conformi alla decisione comunitaria pur non avendo dimostrato l'impossibilità di esecuzione, la Commissione potrà avviare la procedura di infrazione e dovrà essere sospeso, secondo la giurisprudenza Deggendorf, il pagamento di nuovi aiuti, ancorché compatibili, al beneficiario interessato.
Se da un lato la richiesta alle imprese della "dichiarazione Deggendorf" è diventata pratica comune presso le Amministrazioni che concedono aiuti (si veda in Archivio approfondimenti la nota del 15 maggio 2011), dall'altro si moltiplicano le pronunce della giurisdizione comunitaria relative ad aiuti non restituiti.
È del 17 novembre la sentenza della Corte che constata il mancato recupero di un’ingente volume di aiuti riguardanti i contratti di formazione e lavoro e commina all’Italia pesanti sanzioni pecuniarie dell’ordine di alcune decine di milioni di euro, sanzioni che continueranno ad applicarsi anche in futuro finché l’Italia non avrà concluso la complessa fase di recupero di detti aiuti.


La pluriennale vicenda dei contratti di formazione e lavoro
La pluriennale vicenda dei contratti di formazione e lavoro è iniziata nell'agosto 1998 quando la Commissione europea, a seguito della notifica della legge 196/97, decise di esaminare nel merito non solo gli aiuti per la trasformazione dei contratti di formazione e lavoro in contratti a tempo indeterminato di cui alla legge 196, ma anche gli aiuti all'assunzione erogati mediante contratti di formazione e lavoro a tempo determinato previsti dalle leggi pregresse 863/84, 407/90, 169/91 e 451/94 che parevano in contrasto con gli orientamenti comunitari in materia di aiuti all’occupazione.
Il CFL era nato nel 1984 come contratto a tempo determinato, comportante un periodo di formazione, per l'assunzione di disoccupati di età non superiore a 29 anni. Le assunzioni effettuate in base a tale contratto beneficiavano di sgravi temporanei degli oneri sociali normalmente a carico delle aziende. Il regime era applicabile in maniera generalizzata, automatica, indiscriminata e uniforme su tutto il territorio nazionale.
Tali caratteristiche sono venute meno a seguito delle modifiche legislative introdotte tra il 1990 e il 1994, per cui le riduzioni degli oneri sociali furono differenziate a seconda delle zone, si elevò il limite massimo di età dei lavoratori da assumere e fu introdotto un CFL limitato ad un anno con soglie minime obbligatorie di ore di formazione. Inoltre la legge del 1997 consentì alle imprese del Mezzogiorno di trasformare i CFL biennali in contratti a tempo indeterminato beneficiando di un'esenzione aggiuntiva degli oneri sociali.
Nel 1999, la Commissione europea adottò la decisione che modificava le condizioni di operatività dei CFL per rendere le agevolazioni compatibili con la disciplina degli aiuti di Stato. Infatti i CFL, che non erano nati come aiuti di Stato, lo erano divenuti successivamente con le modifiche introdotte dalla legislazione nel 1990. In sostanza, la Commissione ritenne compatibili:

- a partire dal novembre 1995, data dell’entrata in vigore delle regole comunitarie in materia di aiuti all’occupazione, gli aiuti concessi per l'assunzione di lavoratori che al momento dell'assunzione non avevano ancora ottenuto un impiego o l'avevano perso e la cui assunzione avesse creato nuovi posti di lavoro nell'impresa e gli aiuti concessi per l'assunzione di lavoratori con difficoltà particolari a inserirsi o a reinserirsi nel lavoro (nel caso di specie, giovani con meno di 25 anni, laureati fino a 29 anni, disoccupati da almeno un anno)

- gli aiuti previsti per la trasformazione di CFL in contratti a tempo determinato, purché fosse rispettata la condizione della creazione netta di posti di lavoro.

Tutti gli altri aiuti dovevano essere rimborsati dalle imprese con gli interessi, sulla base di una valutazione caso per caso, facendo salvi gli aiuti che era possibile far rientrare nel massimale de minimis dell’impresa.
Fin da subito fu chiaro che il recupero degli aiuti non sarebbe stata un’operazione semplice a causa dell’elevato numero di imprese interessate e della necessità di procedere ad una valutazione capillare delle diverse situazioni sulla base di criteri individuati dalla Commissione, ma ignoti all’amministrazione e difficilmente reperibili presso le stesse imprese. Su ricorso della Commissione, la Corte di Giustizia accertò la mancata esecuzione degli obblighi di recupero da parte dell’Italia con sentenza 1° aprile 2004 e le istituzioni comunitarie, pur riconoscendo la difficoltà dell’operazione, non hanno mai ritenuto che ricorressero le condizioni dell’impossibilità assoluta a procedere.


Il recupero degli aiuti di Stato presso le imprese
Come andrà a finire il contenzioso lo potremo sapere solo seguendo gli ulteriori sviluppi, ma traendo spunto da questa vicenda (simile a molte altre benché di grande impatto per il volume degli aiuti e il numero delle imprese interessate) qualche considerazione generale è comunque possibile farla.
La prima è che, a parte le multe a carico dello Stato, resta l’obbligo per le imprese di rimborsare gli aiuti incompatibili percepiti. Anzi, più lo Stato è pressato dalle istituzioni comunitarie, verosimilmente maggiore sarà l’urgenza di portare a termine la procedura di recupero con modalità tali da chiudere il contenzioso.
È ormai noto che l’argomento della tutela del legittimo affidamento dell’impresa alla correttezza della normativa nazionale viene raramente accolto in sede giurisdizionale per giurisprudenza consolidata sia in ambito nazionale che comunitario e dunque non costituisce un valido motivo di ricorso. Il principio è senz’altro riconosciuto dagli ordinamenti comunitario e nazionali, ma le imprese beneficiarie di un aiuto possono fare legittimo affidamento sulla regolarità dell'aiuto solamente quando questo sia stato concesso nel rispetto delle procedure previste dalle regole comunitarie e un operatore economico diligente, afferma la Corte di Giustizia, deve di norma essere in grado di accertarsi che tale procedura sia stata rispettata.
Ciò non significa che l’impresa destinataria di un’ingiunzione di recupero degli aiuti sia sempre tenuta a restituirli. Ricordiamo infatti che la decisione della Commissione è un atto a carattere generale e la sua analisi verte sui regimi e non sulle misure individuali di aiuto concesse alle singole imprese. La Commissione non conosce il numero esatto né l'identità dei beneficiari delle misure e non conosce l'ammontare degli aiuti concessi. Chi dovrà effettivamente restituire e quanto sarà lo Stato a determinarlo (si pensi al caso dei CFL), ma spetta all’impresa opporsi se ritiene che le risultanze di questa valutazione non sono corrette. Attenzione anche alla correttezza del calcolo degli interessi sulla somma da restituire perchè la metodologia comunitaria ha le proprie regole e talora i ragionamenti dell’amministrazione sono quanto meno opinabili.


Aiuti illegali, aiuti incompatibili
In via collaterale rispetto al tema del recupero ci preme far rilevare che, anche nell’ipotesi di mancata notifica (o di mancata comunicazione) l’aiuto non è di per sé incompatibile: un’eventuale procedura della Commissione in relazione ad esso si aprirebbe infatti con una dichiarazione di “illegalità” degli aiuti concessi e con un’ingiunzione a sospenderne l’erogazione, seguita dalla verifica della compatibilità. Qualora gli aiuti, pur dichiarati “illegali” (come conseguenza della mancata notifica), fossero poi giudicati compatibili, non avrebbe più alcuna rilevanza, né per il passato, né per il futuro, la primitiva “illegalità”. Nel caso di aiuti concessi in base al regolamento di esenzione n. 800/2008, essendo la compatibilità assicurata a priori, la mancanza della comunicazione comporterebbe un eventuale richiamo allo Stato inadempiente, ma senza ricadute negative sulla compatibilità degli aiuti concessi e dunque sulle imprese.

2 dicembre 2011

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